Disodontiasi: diagnosi, indicazioni e controindicazioni per l'intervento chirurgico
La disodontiasi consiste nella eruzione mancata o anomala di un dente; si tratta di una condizione piuttosto comune: in base agli studi epidemiologici ha un’incidenza pari al 20% della popolazione, e riguarda perlopiù un terzo molare, o dente del giudizio, superiore o inferiore, e molto più di rado un canino o un altro dente.
In questi casi si tende a intervenire perlopiù con l’estrazione chirurgica; benché si tratti di una operazione di prassi, è comunque importante tenere in considerazione alcune indicazioni e controindicazioni di base.
Sintomi e diagnosi della disodontiasi
La disodontiasi presenta una sintomatologia variabile, che passa dalla sensazione di fastidio e di dolore localizzata, con eventuale difficoltà e disturbo di masticazione o deglutizione, fino a dolori mascellari, trisma (contrattura spastica dei muscoli della mandibola), febbre, infiammazione, infezione gengivale o ascesso.
La causa principale dell’insorgenza dei sintomi sta, oltreché nella difficoltà di eruzione dei denti, nei problemi correlati all’igiene orale cui può andare incontro il paziente con disodontiasi: il dente non è del tutto in arcata e quindi non è raggiungibile con facilità con lo spazzolino o altri strumenti, di conseguenza i batteri trovano un ambiente ottimale per la loro proliferazione e causano infiammazioni o ascessi dentali.
In alcuni casi, inoltre, la crescita dell’elemento dentale può avvenire in maniera normale, ma i tessuti molli circostanti risultano scarsamente riassorbiti, con un solco gengivale dalla morfologia anomala e una gengiva riversata sulla superfice masticatoria. In questi casi tende a formarsi una tasca in cui si raccolgono residui di cibo e placca batterica, condizione che va a peggiorare la sintomatologia qui sopra elencata.
Quanto alla diagnosi, questa si basa essenzialmente sull’esame obiettivo nel corso della visita clinica, che va accompagnato in tutti i casi a tecniche specifiche come la Rx ortopanoramica, così da poter individuare quale sia la posizione effettiva del dente, il suo orientamento, e quanto sia prossimo al nervo mandibolare.
Ispezione del cavo orale, radiografia e panoramica sono essenziali per valutare ciascun caso clinico, pianificare la strategia terapeutica più adatta, e ridurre al minimo il rischio di compromissione di strutture estremamente delicate quali il nervo alveolare inferiore.
I differenti casi di disodontiasi
Per una corretta diagnosi, oltre che per valutare il trattamento terapeutico più adatto a ciascun caso, è fondamentale riconoscere i vari tipi di disodontiasi.
I diversi tipi di disodontiasi possono classificarsi seguendo tre criteri principali: entità, durata e posizione.
- Entità: disodontiasi totale o parziale
Nel primo caso il dente si trova completamente incluso nell’osso mascellare o mandibolare, mentre nel secondo caso il dente è riuscito ad eruttare parzialmente dalla gengiva
- Durata: disodontiasi temporanea o permanente
In caso di inclusione permanente il dente non termina mai il processo di eruzione. In caso di inclusione dentale temporanea, il dente riesce invece ad emergere dalla gengiva in modo completo, ma in ritardo rispetto ai tempi comuni.
- Posizione: il criterio principale per valutare un caso di disodontiasi.
Rispetto all’arcata dentale da cui si è sviluppato, il dente incluso può trovarsi in diverse posizioni, più o meno difficili da affrontare: verticale, obliqua o orizzontale (il dente è parallelo all’osso che lo ha generato). Inoltre, deve essere valutata l’inclinazione del dente rispetto all’asse verticale (il dente può essere inclinato in senso linguale o vestibolare). In rari casi, piuttosto impegnativi da trattare, ci si può trovare di fronte a un dente disto-inclinato o inverso.
Terapia e decorso post-operatorio
La terapia della disodontiasi, come dicevamo, è quasi sempre chirurgica, soprattutto se riguarda i terzi molari; tuttavia esistono diversi tipi di intervento a seconda del grado e della complessità dei casi; tra questi è possibile citare:
follow-up. Se non si giudica necessario intervenire, bisogna tenere sotto controllo il quadro clinico e tutte le sue possibili evoluzioni, attraverso controlli clinici periodici, così da poter intervenire in caso di variazioni;
estrazione. Se il dente non è rilevante dal punto di vista funzionale (terzi molari) o crea problemi, l’opzione migliore è l’avulsione. L’intervento si differenzia in base alla forma e alla posizione del dente e delle radici, e si può svolgere semplicemente trazionando il dente (se ha radici unite ed è in arcata), dividendolo in più porzioni se ha forma anomala, o anche asportando l’osso che gli impedisce di erompere in caso di inclusione;
se è necessario rimuovere uno dei denti da latte, però, è importante non effettuare l’operazione troppo precocemente (non più di un anno dal periodo di eruzione fisiologica del dente sottostante) per non causare una mancanza di spazio per la dentizione permanente;
trattamento ortodontico di altro tipo, includendo ogni terapia di prevenzione per aumentare lo spazio nelle arcate dentali nella zona di eruzione del dente, nonché la scopertura chirurgica.
In caso di estrazione, è possibile svolgere l’intervento con anestesia locale o generale, a seconda dei casi.
Nella fase post-operatoria il paziente può manifestare gonfiore, mal di testa e malessere per alcuni giorni, e un dolore continuo acuto quando svanisce l’effetto dell’anestesia, cui rimediare con antidolorifici o impacchi di ghiaccio. Al paziente andrebbe raccomandato di evitare attività fisica, fumo e assunzione di cibi o bevande irritanti per i primi due-cinque giorni.
Indicazioni e controindicazioni dell’intervento
Nel prendere in considerazione l’opportunità e la tipologia dell’intervento per disodontiasi, bisogna tener conto di alcuni fattori, in particolare la presenza di:
pericoronite. L’infezione della corona si associa nella stragrande maggioranza dei casi al terzo molare inferiore semincluso, per via di caratteristiche anatomiche proprie del dente; è la prima causa di estrazione. Ha origine da diversi fattori, il più importante dei quali è una igiene orale scarsa o non sufficiente. Tra i sintomi comprende dolore locale, edema, trisma, difficoltà nella deglutizione;
malattia parodontale. Parodontiti e gengiviti possono colpire di frequente i denti contigui in caso di disodontiasi, dal momento che lo spazio pericoronale è una zona in cui i batteri che causano problemi alla gengiva tendono a svilupparsi con più facilità, e l’impossibilità di eseguire in maniera corretta la pulizia acuisce il rischio a carico delle gengive;
carie. Colpisce sia il dente in disodontiasi che gli elementi dentari contigui. In entrambi i casi il fattore scatenante sta nel fatto che l’elemento incluso o semi incluso preclude una corretta igiene della bocca, portando alla formazione di placca e allo sviluppo di carie. La cura della carie nei denti contigui, con restauro conservativo o protesi o altro trattamento di endodonzia, è possibile solo dopo aver estratto i denti inclusi.
Occorre anche che il dentista ricordi che la terapia mediante avulsione in caso di disodontiasi degli ottavi o di altri denti può presentare controindicazioni e fattori di rischio, tra cui:
età avanzata del paziente;
condizioni generali già compromesse;
possibilità di ledere altri denti o strutture anatomiche contigue;
collaborazione scarsa o non completa da parte del paziente;
opportunità di recuperare il dente tramite intervento ortodontico o trapianto dentario.